La parola in Francoise Dolto.
Testo di un mio intervento letto ad un Convegno del Forum Salomè.
J’AI DEUX JAMBES QUI ME MANQUENT:
LA PAROLA IN FRANCOISE DOLTO
In Piemonte per dire " grossip "si
dice " tagliare e cucire ". Con le parole e su un'altra scena si intesse
un altro discorso. Nella moda il bel taglio è un'arte e cucire e tessere, sono ,
si sa, arti inventate dalle donne . Ebbene la parola di Francoise Dolto fa
taglio , ma cuce: sé e vero che " le parole sono prese in tutte le
immagini corporee che imprigionano il soggetto ",
ecco che su un'altra scena il tessuto così ritagliato dà l'immagine corporea .
E mentre tagliando crea i bordi, cucendo dà la bella fattura: l'Immagine
Corporea, concetto da lei elaborato per dar conto di altro dallo schema corporeo;
l'immagine che viene da parole: quelle della relazione securizzante e
umanizzante . Eccoci al cuore della sua teoria: è la relazione a costruire
l'essere in quanto umano. E le parole ne sono il concime. Ma quali parole?
Sicuramente le parole vere , rivolte all'altro e non al proprio fantasma.
Parole che dicono ma parole che sanno
anche dire del segreto ,del " non tutto " si può dire, che istituiscono
il limite e il sacro. Altro dal dire tutto che è proprio sia del discorso
isterico che di quello scientifico e che si manifesta in modo particolare con
la esigenza sempre più diffusa della " trasparenza ", dietro cui sta un fantasma che scarnifica e disumanizza.
Francoise Dolto era una psicanalista
coraggiosa. Dico questo considerando il
suo percorso teorico e scientifico attraverso il quale lei indica a noi donne
nella psicanalisi che è possibile una posizione diversa da quella di discepola,
custode dell'ortodossia, dunque reazionaria e conservatrice che pare essere
l'ovvia e naturale posizione che le donne possono assumere ; non era lontana
l'epoca del " L'ha detto Lui ", tipico intercalare di Marie Bonaparte,
che se non ricordo male divenne l'appellativo stesso con cui ironicamente la
stessa principessa veniva definita.
Il mio primo incontro con Francoise Dolto,
sull'onda di queste considerazioni, si ebbe proprio quando mi toccò, novello
angelo della macchina da scrivere, battere a macchina la traduzione, ad opera
di colleghi maschi, di una conferenza che Dolto aveva tenuto a Nizza nell’87
e che avevamo avuto l'incarico di
tradurre a Torino : si trattava di pubblicarla successivamente in lingua
italiana. Mano mano che leggevo rimanevo stupefatta... fu anche la prima volta
in cui seppi dell'invenzione e dell'esistenza delle “Maison Verte”. Parecchi
anni dopo nel 1998 a questo proposito poiché c'era un interesse in tal senso da
parte della Facoltà di Psicologia dell'Università di Torino, fui a Parigi,
invitata da Bernard This a visitare la Maison Verte del 18° arrondissement. Mi
trovavo lì seduta al suo fianco
prendendo furiosamente appunti di ciò che lui diceva a me e a chi era intorno e
stavo bene. Ricordo che ad un certo punto all'arrivo di un bambino con sua
madre, This alzò gli occhi e rivolto alla donna
le chiese con chi lei fosse (Avec qui etes vous ici?). Ed io colsi in questo rovesciamento di prospettiva che
vedeva il bambino come protagonista e agente attivo non tanto e non solo della
sua socializzazione quanto di quella dell'adulto l’eco dell'insegnamento di
Francoise Dolto elaborato attraverso la grande umanità di Bernard This. Ricordo
che mentre mi raccontava quali fossero
le caratteristiche che chi operava in queste equipes dovesse avere mi disse
chiaramente che gli analisti lacaniani erano i meno adatti, giudizio che io
ancora in analisi e totalmente immersa nel transfert mi affrettai a fissare nei
miei appunti. Mi disse anche molto chiaramente che nella eventuale Maison Verte
a Torino, poiché non dovevano esserci voyeurs bisognava che la docente con cui
collaboravo facesse essa stessa parte dell’equipe: lì iniziai a capire che il
progetto a Torino non avrebbe avuto seguito... come sempre nella psicanalisi
non ci sono scorciatoie: non è attraverso i libri o il sapere libresco che ci
si può coinvolgere. E Dolto ci testimonia proprio questo con la sua pratica
alla rue Cojas nella quale per molto tempo si riunì su suo invito a seguito
di rigorosa selezione, un gruppo di
psicanalisti che intendevano formarsi al suo modo di operare ma che prima di
ogni cosa erano lì a testimoniare delle psicanalisi che lei svolgeva con i
bambini, e come in un coro antico rendevano
possibile la circolarità del transfert . Si dice di Francoise Dolto che non ha
fatto scuola, si sa che in molti casi lei non si è fatta pagare né per il
lavoro che ha svolto per molti anni all'ospedale Trousseau… ne per le supervisioni. Lei reputava che ci fosse un sapere reciproco che circolava.
Ma vorrei a questo punto fornire qualche
elemento tratto dalla mia esperienza clinica che in un certo periodo della mia attività fu
molto influenzata dall’Image Incosciente du Corps.
Durante la mia esperienza professionale come
psicoterapeuta mi sono trovata ad operare in qualità di insegnante di yoga, ( dunque non
rispondevo a specifiche domande di psicoterapia ) e anche come psicoterapeuta
in una istituzione per anziani prevalentemente non autosufficienti .
La testimonianza che vorrei portare oggi
riguarda prevalentemente il lavoro con i vecchi. Sia durante i colloqui che
avevo con loro in cui spesso parole e disegni si intrecciavano, sia in tutto
l'ambito che riguardava la riabilitazione e cioè quello più propriamente medico
e durante gli incontri con il personale parasanitario in particolar modo con i
terapisti della riabilitazione, mi trovavo a interrogarmi in modo ovviamente
diverso dal loro sul corpo. Intendo dire che la principale preoccupazione oltre
ovviamente alle cure generali del corpo in quell'ambiente è costituita da tutte
le tematiche legate alla riabilitazione tese ovviamente a migliorare la
funzionalità legata al fare e all'andare e a consolidare l'orientamento nel
tempo nello spazio .
Portavo
questi miei interrogativi sul corpo nel reale nel simbolico e nell'immaginario nella
supervisione che all'epoca affidavo a Gabriel Balbo. Si stava lavorando in modo
più generale allo stadio dello specchio come costitutivo mediante anticipazione
dell'unitarietà dell'immagine del corpo,vale a dire del bordo simbolico che
unificava i pezzi scoordinati per via della nota prematurazione. Per quanto riguarda i vecchi in letteratura
trovavo autori che parlavano di specchio fatto a pezzi, di inconscio a cielo
aperto, e in generale sentivo sostenere che i vecchi sono come i bambini La mia
osservazione clinica mi portava a non condividere queste posizioni e
affermazioni o comunque a volerle più articolate
Mi interessavo allora e su questi temi del
corpo ai lavori di Sabina Spielrein sulla pulsione di distruzione, a quelli di Ferenczi
sull'intelligenza della cellula e sul trauma,alla Teoria matematica delle
Catastrofi di Renè Thom…
Ma dalle conversazioni effettuate in
supervisione ricevetti l'indicazione a prendere visione sia del numero del Coq
Heron sull’Aptonomia sia dell’Image Incosciente du Corps, all'epoca non ancora
tradotto in italiano.
Devo dire che ricevetti un aiuto enorme oltre a
conferme incoraggianti a ciò che mi interrogava.
Mi chiedevo infatti che cosa ne fosse dello schema
corporeo nei vecchi soprattutto in quelli colpiti da gravi invalidazioni
motorie o psichiche poiché per esempio
dai disegni che facevano mi rendevo
conto che non era per nulla scontato quale fosse il loro rapporto con la
realtà..
Ne conseguivano effetti rilevanti sia sul come parlare con loro , che sul piano
delle strategie da adottare ai fini della riabilitazione sia in palestra che neuromotoria
e cognitiva.
Inoltre cosa pensare di persone pesantemente
sedate poiché disturbavano ma che pure sotto sedativo mantenevano tracce di
un'organizzazione soggettiva “coerente”, o ancora cosa pensare di lingue che
continuamente percorrono il bordo delle labbra o mani che continuamente
percorrono i bordi degli oggetti intorno o ripetono antichi gesti consueti oramai
senza senso come per esempio piegare all'infinito un fazzoletto, o quando più
nulla c'è cosa pensare di persone allettate oppure sprofondate nella demenza intente a respirare. O ancora come
fare entrare nel discorso l'esagerata assunzione di cibo o l'esagerato amore
del canto a gola spiegata in una persona immobile in carrozzella?.
Ricordo in questo momento una vecchia allettata che con fare complice e
malizioso mentre mi raccontava della preziosità delle sue mani: lei era stata
una abilissima ricamatrice .Mi raccontò di certe suppurazioni che erano per lei
un rischio sempre presente che lei non assumeva i farmaci che le davano i
medici perché non servivano a nulla e si
era invece guarita da sola curandosi con la saliva: le sue mani portavano la
saliva dalla bocca alla parte infiammata…
Dolto
ci dice che le perdite di integrità dello schema corporeo possono essere
sostenute quando l'immagine corporea tenga. Immagine abbiamo detto fatta,ancor
prima della nascita, di relazione e dalla relazione, e veicolata da parole vere.
Ma anche tale che può bordare
simbolicamente il reale dell'essere fino a livelli incredibilmente oscuri e
sicuramente pre verbali o post verbali, come possono essere quelli in cui il
respiro è l'ultimo baluardo immaginario che nell'oggi si aggancia e nutre un
narcisismo pre-istorico, ultima àncora per l'essere in vita.
Non entro ulteriormente in questo mio
intervento nel merito della esperienza che mi portò in seguito a fondare presso
l'Ordine degli Psicologi la Commissione di Psicologia Gerontologica che ho
coordinato per cinque anni, e a seguito della quale è nata poi alla Facoltà di Psicologia di Torino la
materia della Psicologia Gerontologica. Ma a chi abbia interesse a questa
clinica posso in altra sede molto volentieri fornire delle considerazioni più
puntuali.
L'interesse di questo ambito della clinica era
per me che tutto ciò di cui la teoria di Dolto si occupa, nei vecchi è già
definito; dunque non si torna indietro: si tratta piuttosto di dare conto di
un, ancora, passaggio, tempo, nel quale le perdite sono da integrare nello
schema corporeo contando su una immagine del corpo che è lì dalla preistoria
del soggetto. Per esempio una vecchia che si ritrae e protesta di fronte alla
aridità di una riabilitazione motoria dicendo: " vorrei uccidermi! Mi
ucciderei ! Cosa mi serve , cosa mi serve tutto ciò !!: non ho le braccia
troppo lunghe… " e un'altra sempre in riabilitazione motoria " non
riesco, non riesco ma devo farlo perché loro ci tengono; il ragazzo viene addirittura
qui, da me, sono molto gentili... ".
È coglibile in questi due casi la immagine
corporea funzionare in filigrana.
Questa capacità di lettura che mi poteva dare
il lavoro di Dolto mi fu altrettanto utile nei momenti di lavoro con l'équipe
della riabilitazione.
Ricordo una giovane terapista sconvolta poiché
una vecchia la chiamava mamma: ero io a rimanere altrettanto scombussolata per
il fatto che lei non arrivasse a comprendere che davvero questo era il modo in
cui lei stava funzionando con questa vecchia si trattava piuttosto di trasporre
nuovamente nel fantasma un dire che era
sceso troppo nel reale…
Avevo anche condotto per un certo tempo un gruppo di parola composto da persone
affette da demenza senile o di tipo Alzheimer, un lavoro molto bello in cui utilizzavo
il loro linguaggio definito “fuori di senso” ,per creare attraverso metafore e
metonimie, la più alta forma di simbolizzazione,cioè il witz
,che loro ben comprendevano ; si tesseva
dunque il discorso del gruppo... e anche lì ricordo che un vecchio raccolto
dalla strada praticamente in uno stato disastroso ripulito riconfortato, in
presenza mia, cioè di una giovane donna, parlando delle donne sue coetanee che
partecipavano al gruppo mi diceva che esse erano “ degli stracci ": in una
difficoltà di identificazione al simile che ho notato sempre in quell'ambiente,
e infatti ,come il narcisismo si può appoggiare ad uno straccio? e anche qui
dunque c'era un lungo lavoro da fare dal punto di vista della valorizzazione
del soggetto a partire dalla elaborazione dell'angoscia di castrazione…
Come parlare con loro della parte malata o
perduta? Ecco che con Dolto mi si aprivano mondi di possibilità inimmaginate;
così iniziai a parlare con loro,evocando un immaginario altro da quello
puramente medicale e stimolando un giudizio a coloritura affettiva che andava a
bordare l’immagine in modo simbolico : rido nel constatare la goffaggine e il
tempo lungo che la signora G. impiega per fare il giro attorno al letto. Lei è
affetta da una emiplegia che le paralizza il braccio la mano destra: " che
roba, non avrei mai detto! È roba mia si la posso massaggiare questa mano, ma
poco sennò mi fa male, non mi dà nessun piacere questo corpo, un uomo non lo
voglio no, le coccole me le fanno i miei parenti, le sigarette, di cibo la
compagnia... è come un bambino? Si ma non fa niente... si sono io, ma...
" non sono io!è morta! Sono 35 anni che
sono così. Potrei scrivere un libro: il piede è morto! Così anche la gamba...
" dice la signora N…. Affetta da emiparesi sinistra.
A ripensarci adesso mi rendo conto che queste
persone tutte in riabilitazione, erano immerse in un grande brodo medicale, ma
nessuno con loro parlava in modo che ricevessero castrazioni simboligene …
Si dice che i vecchi sono come i bambini: è
vero nella misura in cui entrambi sono molto vicini ai misteri più grandi la
nascita e la morte di cui nessuno di noi saprà mai nulla; solo gli altri ne
sono testimoni; per quanto riguarda però tutte le questioni relative al corpo
nel vecchio tutto un giro è stato compiuto non è certo più la stessa cosa... e
Dolto ci dice che è l'immagine del corpo ( il corpo che abbiamo in testa
potremmo dire ) riferibile ad un determinato stadio di sviluppo ,a fare la
differenza...
Vorrei concludere questo breve intervento con il
ricordo portato da una delle analiste che si sono formate alla sua sensibilità
alla rue Cujas, che racconta un episodio avvenuto quando Dame Dolto era già
seriamente malata di fibrosi polmonare e continuava a ricevere i bambini in
consultazione armata di un imponente macchina per l'ossigeno a cui lei era
collegata attraverso un tubo che le si inseriva nel naso. Lei diceva ai bambini
incuriositi che erano i suoi " occhiali da naso ", che c'erano alcune
persone che portano gli occhiali da vista perché vedono male e lei dato che
respirava male, portava gli occhiali da naso. Questa spiegazione aveva l'aria
di funzionare perfettamente per i bambini che non vi ponevano da quel momento
più alcuna attenzione.
Ecco è il suo modo di utilizzare la parola che
mi lascia sempre spiazzata e vorrei dire che questa polissemia del significante
è ciò che lei ha mantenuto del suo essere bambina, è per i bambini che il
significante assume queste connotazioni, o per i poeti: che tristezza la
povertà a cui giunge l'adulto che sul modello del suo pensiero colonialista e
colonizzatore pretende di descrivere giudicare, valutare il pensiero delle
altre età …
Emanuela Marangon
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