Hans Holbein - Gli Ambasciatori

venerdì 27 settembre 2013

Presentazione del n. 359 di “Aut Aut” dedicato alla Potenza del Falso / FILOSOFIaGRADO 8 settembre 2013

http://www.analisilaica.it/2013/09/16/perche-parlare-di-falso-psicanalisi/

Presentazione del n. 359 di “aut aut”: Damiano Cantone, Marcello Ghilardi, Massimiliano Roveretto, Renato Moglia, Antonello Sciacchitano
In prima battuta devo giustificare la presenza di psicanalisti tra i filosofi che si sono impegnati a dedicare un intero numero della loro rivista alla potenza del falso. Devo farlo perché sono ragionevolmente sicuro che la maggior parte dei presenti ignora quanto la pratica psicanalitica sia pervasa – direi addirittura invasa – dalla potenza del falso, secondo la bella espressione di Damiano Cantone. Devo addirittura precisare che il falso che abita la psicanalisi è sì una potenza, ma non è in potenza. Quello psicanalitico è un falso in atto e presente in numerose varianti nei fenomeni della cura psicanalitica; non esagero dicendo che il falso ne costituisce il nerbo.
Ecco un breve elenco.
L’amore di transfert, che l’analizzante sviluppa per l’analista, è un amore ambiguo, mescolato all’odio; è un amore falso; sicuramente più falso dei cosiddetti amori spontanei; secondo Freud l’amore di transfert non è amore, ma è resistenza al procedere del lavoro analitico di scavo nell’inconscio. “Chi non lavora non fa l’amore”, diceva una canzonetta. In analisi si fa l’amore per non lavorare, cioè per non procedere nella cura.
I sintomi nevrotici sono falsi godimenti; sono godimenti sostitutivi, diceva Freud; sono godimenti regolarmente mescolati alla sofferenza psichica; ecco ancora una volta il falso, che arriva a essere tanto falso da forzare il soggetto a chiedere l’aiuto di un analista per uscirne.
I sogni – dice ancora Freud (tra parentesi: i miei riferimenti a Freud non sono casuali; io sono e resto freudiano anche quando critico aspramente Freud ­sul piano scientifico) – sono false realizzazioni di desiderio; realizzano il desiderio in modo così  spostato e deformato da renderne regolarmente irriconoscibile da parte del soggetto la soddisfazione.
E i ricordi? I ricordi sono quasi sempre falsi ricordi, che coprono i veri ricordi da riscoprire – il termine freudiano è “costruire”, talvolta ex novo – con il lavoro di analisi. I ricordi sono ricordi di copertura, diceva Freud.
Ci sono, poi, le false associazioni di idee e le false performance, i cosiddetti lapsus freudiani, che proprio perché sono falsi, attraverso il falso riescono talvolta a dire il vero malgrado l’intenzione del soggetto di celarlo; addirittura, il lapsus direbbe quel vero che il soggetto non sa di sapere. Freud lo chiamava inconscio.
Per non dire dell’inconscio stesso, che è un falso sapere in quanto è un sapere che non sa di se stesso.
Allora si pone un problema non facile: come concepire tutto questo falso che nasce dalla pratica psicanalitica? Come si pensa il falso?
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Antonello Sciacchitano

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